Maltagliate con quel del campo

La nonna Maria si raccomandava sempre di usare la farina fatta in montagna, con i grani antichi, “Quella integrale, mi raccomando…” semplicemente derivata dalla macinazione dei chicchi interi.

Facile da dirsi per lei che aveva il mulino di fianco a casa e di farina ne produceva in quantità con le macine a pietra e l’acqua del Rio Botri. Faceva anche il pane e mia zia Marisa, fanciulla in bicicletta, lo portava a vendere a Rivoreta. Ho ancora in mente il profumo inconfondibile dell’impasto che lievitava nella madia. Odori e sapori che non riesco più a rinvenire ai tempi odierni ma che restano impressi indelebilmente nella memoria.

Tornando alla nostra ricetta bisogna setacciare la farina per separare la crusca, ma è comunque molto meglio adoperare quella integrale perché mantiene intatte tutte le caratteristiche nutrizionali.

Ai tempi di mia nonna la crusca mica veniva gettata, serviva poi da alimento per le galline ovaiole, mescolata con acqua e a volte anche avanzi di cucina.

Il resto degli ingredienti, a parte il formaggio, lo forniva l’orto di casa.

In quel di Rivoreta, nonostante l’altitudine di quasi 1000 metri dell’assolata località “Il Molino”, d’estate si riuscivano a coltivare anche i pomodori e il basilico.

Le patate invece non hanno bisogno di particolari cure o attenzioni per questo sono state fin da sempre un alimento imprescindibile e un sostentamento prezioso per la popolazione di montagna.

Certo la ricetta sembrerebbe voler imitare il pesto alla genovese, in realtà è semplicemente un gustoso connubio che utilizza vegetali presenti negli orti domestici; non a caso non c’è traccia di pinoli, frutto caratteristico delle pinete marittime, considerando che la gente di montagna dei tempi passati il mare lo vedeva forse in cartolina, o ne sentiva parlare dagli uomini che nel lungo inverno emigravano in Maremma a lavorare.

La ricetta

INGREDIENTI (per 4 persone)

  • 300 gr. di farina
  • 3 uova
  • Olio: 1 cucchiaino per l’impasto – 3 cucchiai per il condimento
  • 4 patate medio piccole
  • 100 gr. di basilico
  • 100 gr. di formaggio grana o parmigiano
  • 300 gr di pomodorini freschi
  • Sale q.b.

PROCEDIMENTO

Preparare l’impasto con la farina, le uova e 1 cucchiaino d’olio per dare maggiore elasticità; lavorare bene l’impasto sulla spianatoia e poi lasciarlo riposare per mezzora coperto da un canovaccio.

Nel frattempo mondare e lavare il basilico, scolarlo bene e lasciarlo asciugare.

Lavare i pomodori e tagliarli a pezzetti non troppo piccoli.

Tirare la pasta infarinandola bene e poi arrotolarla e tagliarla direttamente con il coltello formando delle tagliatelle di circa un centimetro ma senza preoccuparsi troppo di realizzarle tutte uguali.

Mettere a bollire l’acqua per cuocere la pasta. Pelare le patate e tagliarle a dadini.

Quando l’acqua bolle far cuocere i dadini di patate un paio di minuti prima di aggiungere le tagliatelle.

Le tagliatelle fatte in casa non necessitano di una lunga cottura, bastano 4 o 5 minuti.

In questi pochi minuti frullare il basilico insieme al formaggio, si aggiunge l’olio e, con questa salsa si condiscono le tagliatelle e le patate appena scolate. Infine si aggiungono i pomodorini ed il piatto è pronto per essere servito.

 

Confettura di mele selvatiche e noci di montagna

Il profumo e il gusto un po’ acidulo delle mele selvatiche non ha eguali e dà a questa preparazione un tocco unico che richiama ricordi ancestrali, quelli che probabilmente ognuno di noi mantiene in un angolo della propria memoria pronti ad essere rievocati. Inoltre questa confettura è molto adatta nella sua semplicità in quanto non crea problemi dal punto di vista della consistenza, tallone di Achille delle confetture in genere, quelle che non contengono additivi ovviamente.

Chiunque chiedeva il segreto a mia mamma Giuseppina per avere una marmellata dalla giusta solidità senza farla cuocere esageratamente in modo da conservare intatte le caratteristiche organolettiche, a cominciare dal colore brillante che invece sovente sfocia in una sorta di caramello.

Nessuno voleva credere che non aggiungesse pectina (che di per sé non è niente di artificiale derivando appunto dalle mele) e nessuno pareva riuscire a raggiungere i suoi risultati di consistenza e di colore.

A suo dire il segreto era semplicemente quello di utilizzare la pentola adatta, che non avesse un fondo troppo spesso, cosa che però richiedeva l’impegno di un costante rimescolamento.

In realtà, col tempo e con le prove, mi sono resa conto che la parte migliore la faceva il materiale di cui erano costituite le pentole dell’epoca in cui si era sposata, cioè l’alluminio, ma per lei questa era una cosa naturale, perché quelle c’erano nella sua cucina….

Lei preparava confetture e sciroppi dai classici frutti del sottobosco: mirtilli, lamponi e more e negli ultimi tempi anche e fragole che mio padre si dilettava a coltivare. Ma non solo da lei ho ereditato questa tradizione, prima di lei mia nonna confezionava marmellate anche con la rosa canina, i pomodori acerbi che all’Abetone difficilmente riuscivano a maturare, e lo sciroppo di sambuco dalle decantate proprietà medicinali.

Io mi diletto a spaziare quanto più possibile con tutto quello che i boschi di montagna (ma a volte non solo quelli) ci regalano.

Da questa passione scaturiscono, appunto, la confettura di mele e noci, quella di castagne e ruhm (non vi dico la pazienza per estrarre la polpa ad una ad una dalle piccole castagne di montagna), quella di ciliegie che chiaramente vanno snocciolate ad una ad una, lo sciroppo di ribes, quello di melagrana, di amarene e persino di menta con una tecnica particolare, e qualche liquore come ad esempio quello fatto con il prugnolo selvatico.

Da tempo, poi, mi gira in testa l’idea di utilizzare in qualche modo un’altra risorsa a mio parere inspiegabilmente sottovalutata: la faggiòla, cioè i semi del faggio, per il momento mi sto limitando ad aggiungerla all’impasto del pane fatto in casa.

Insomma, un impegno per tutte le stagioni, tanta pazienza e tanto amore per le tradizioni sono le caratteristiche richieste, senza mai dimenticare la riconoscenza e la gratitudine verso la natura che ci fornisce la materia prima, perché quella ci viene data in dono.

La ricetta (da “I doni del bosco”)

INGREDIENTI

  • 500 gr. di piccole mele selvatiche
  • 150 gr. di gherigli di noci di montagna
  • 350 gr. di zucchero semolato o di zucchero di canna (secondo preferenza)
  • Poca acqua

PROCEDIMENTO

Per prima cosa preparare i vasetti e i coperchi nuovi necessari sterilizzandoli in acqua bollente oppure con altri metodi a piacimento (forno, lavastoviglie ecc..). Lasciarli sgocciolare capovolti su un canovaccio pulito.

Sciacquare le mele, dividerle in quarti e togliere i semi.

Non occorre sbucciare le mele selvatiche dato che non sono trattate, cercare piuttosto di velocizzare la preparazione per evitare che i pezzi di mela scuriscano.

Prediligere piccole mele, ma se proprio non le trovate allora tagliatele in pezzi più piccoli.

Ponetele in una pentola sul fuoco, aggiungendo poca acqua, solo quella che basta per farle ammorbidire senza farle attaccare al fondo e, per lo stesso motivo, mescolare costantemente.

Quando le mele saranno morbide, dopo circa 10 minuti, ridurle in purea con il passaverdura o con il mixer.

Aggiungere lo zucchero e, quando è sciolto, aggiungere i gherigli di noce.

Far cuocere a fuoco lento per 5-10 minuti.

Invasettare subito e chiudere con il coperchio, dopodiché procedere con la pastorizzazione inserendo i vasi in una pentola abbastanza alta in modo che i vasetti restino coperti dall’acqua per almeno 4-5 cm. Portare ad ebollizione e fare bollire lentamente per 20 minuti, dopodiché spegnere il fornello ma lasciare i vasetti nella pentola fino a quando l’acqua sarà raffreddata. La confettura si conserva anche per un anno se mantenuta in un ambiente fresco e buio o perlomeno scarsamente illuminato. La confettura, una volta aperto il vasetto, si conserva in frigorifero per una decina di giorni.

 

 

Testi

La ricetta alla quale mi riferisco ha origini massesi ed è molto semplice, oserei dire quasi
appartenente ad una cucina povera risalente ai tempi di mia nonna. È un piatto veloce, semplice e anche molto genuino; nei tempi in cui era giovane la nonna saziava molto o meglio ancora, come si usava dire, “riempiva la pancia”, e inoltre era molto economico; proprio per questo, quando ero piccola, in casa veniva preparato molto spesso. Questo piatto piace molto anche ai miei figli e alle loro rispettive famiglie infatti, quando vengono a mangiare a casa mia, molto spesso mi chiedono di prepararglielo.

La ricetta

INGREDIENTI (io con la quantità degli ingredienti vado un po’ a occhio, solitamente, nella mia famiglia, ne vengono mangiati 3 o 4 a testa)

  • farina bianca
  • acqua
  • sale q.b.

PROCEDIMENTO

Per farli servono i classici testi di ferro, che quasi tutti i pistoiesi hanno nelle loro cucine, gli 
stessi che solitamente vengono utilizzati per cuocere i necci di farina dolce.

Mettere la farina in una ciotola, salare, aggiungere l’acqua un poco alla volta, fino a raggiungere la densità di una pastella abbastanza liquida.

Far scaldare i testi sul fuoco e ungerli con l’olio.

Mettere su un testo un mestolo di pastella, successivamente coprirlo con l’altro testo. Far cuocere bene la parte sul fuoco, per poi andare a rigirare i testi, in modo tale da far cuocere anche l’altro lato. Prima un lato, gira e poi l’altro.

Quando è cotto metterlo in un piatto, aggiungere sopra un po’ di olio e di formaggio parmigiano grattugiato. In alternativa ad olio e formaggio, si può mettere un po’ di pesto, oppure lardo di colonnata accompagnato da un trito di aglio e ramerino. Per poi avvolgerlo a cannolo, come si fa per i necci.

I testi che ho utilizzato io, sono sempre quelli della nonna, quindi sono molto datati.
 Ah quasi dimenticavo… buon appetito!

 

La faraona della nonna Bruna

Ho pensato subito questa semplice ricetta perché mi riporta i profumi che respiravo a casa della mia adorata nonna. Quei sapori antichi mi riportano alla memoria quella piccola donna intenta a cucinare con un amore e una passione rari.

La ricetta

INGREDIENTI

  • 1 faraona
  • 1 carota
  • 1 costa di sedano
  • 1 cipolla dorata
  • 1 limone
  • salvia
  • rosmarino
  • 1 bicchiere di vino 
bianco
  • olio
  • sale
  • pepe

PREPARAZIONE

Iniziamo tagliando a pezzi la faraona. Prepariamo una bella marinata con il succo di limone, sale e olio. Quindi mettiamo la faraona a marinare in frigo per un’ora circa.

Nel frattempo tritiamo in sedano e la cipolla e tagliamo la carota a pezzettini. Far appassire gli odori in un tegame molto lentamente, quando saranno appassiti unire la faraona sgocciolata dalla marinate e alzare la fiamma. Aggiungere quindi la salvia, il rosmarino e il vino. Quando il vino sarà evaporato, coprire il tegame e abbassare la fiamma. A cottura ultimata togliere la salvia e il rosmarino e frullare il fondo di cottura. Servire la faraona con il suo sughetto ben caldo.

Curiosità: si accompagna bene con le patate arrosto.

 

Orecchiette alla rucola

La mia mamma originaria di Canosa di Puglia, non ha mantenuto tante abitudini pugliesi, in quanto trasferita a Pistoia fin da piccola. Una ricetta però è rimasta ancora nelle nostre abitudini culinarie ed è ormai una ricetta che piace anche ai miei nipoti.

Come dicono le mie figlie, per me è difficile dare le ricette perché non uso dosi precise ma ci proverò!

La ricetta

INGREDIENTI (per 5-6 persone):

  • 500 gr. di orecchiette fresche
  • 100 gr. di rucola
  • 300 gr. di passata di pomodoro o pomodori
  • 1 spicchio di aglio
  • sale
  • parmigiano reggiano q.b.

PROCEDIMENTO

Lessare per 5 minuti la rucola in acqua e sale.

Scolare la rucola e tagliarla grossolanamente. Non buttare l’acqua perché servirà per cuocere le orecchiette.

In una padella scaldare olio e l’aglio, che andrà tolto appena cambia colore, aggiungere la rucola, la passata e sale. Quando ha preso il bollore aggiungere un po’ di acqua e continuare la cottura per circa 30 minuti.

Far bollire l’acqua di cottura della rucola e versare le orecchiette.

Scolare le orecchiette e saltare nel sugo.

 

Aggiungere parmigiano reggiano e… buon appetito!

 

(Foto di copertina: rielaborazione da immagine CIA Puglia)

Il voto è… servito?

Abbiamo iniziato a pubblicare alcune ricette della tradizione inviate per il concorso “A tavola con la tradizione. In cucina fra le sponde del Mediterraneo” e che naturalmente per adesso sono anonime, i nomi degli “chef narratori” sarà svelato solo a fine concorso.

C’è tempo fino al 15 gennaio per iscriversi, tenendo presente che… chi prima arriva più “like” si prende: le ricette si trovano pubblicate nell’evento appositamente aperto sulla nostra pagina Facebook, dove possono essere votate con un semplice “mi piace” che può far vincere la ricetta preferita.

E vuoi scommettere che la giuria popolare dai social esprimerà un parere diverso da quello che darà la giuria ufficiale del concorso? Staremo a vedere!

Intanto… eccole qua, pronte per essere lette (in ordine alfabetico), provate, gustate! E sapere quale sia la vostra preferita.

 

 

Pappa al pomodoro con l’aglione

Sono felice di inviarvi una mia ricetta. Una ricetta ricordo d’infanzia, che la mamma ci preparava con pochi ingredienti, una ricetta povera ma dal sapore genuino, in molti la conosco ed ognuno ha il suo modo di prepararla: la pappa al pomodoro con l’aglione.

La ricetta

INGREDIENTI

  • pane raffermo
  • olio extravergine
  • uno spicchio d’aglio (io ho usato uno spicchio di aglione)
  • qualche fogliolina di basilico
  • 2 o 3 cucchiai di parmigiano grattugiato
  • brodo vegetale
  • sale e pepe QB

PROCEDIMENTO

Prima cosa preparare il brodo vegetale con cipolla sedano carota e basilico.

Tagliare l’aglione o l’aglio finemente, mettere l’olio in una casseruola buttare l’aglio o l’aglione e farlo cuocere lentamente senza farlo colorire. In caso dell’aglione aggiungere poco brodo vegetale alla volta, l’aglione si deve ammorbidire.

A questo punto si aggiungono i pomodori freschi passati con il passatutto oppure i pelati.
Fare prendere il bollore e buttare il pane raffermo, allungare con il brodo vegetale e lasciare assorbire il liquido, se occorre aggiungere ancora un po’ di brodo.

Appena il pane è diventato pappa aggiungere qualche fogliolina di basilico fare cuocere ancora per qualche minuto, spengere il fornello e spolverare con parmigiano grattugiato. Tenere coperto e lasciare intiepidire la pappa.
A questo punto servite con un “c” di olio extravergine.

Buon appetito.

Le melanzane di nonna Ida

La mia nonna Ida, nata a Livorno da famiglia israelita, rimase orfana molto presto e fu affidata dalla comunità ad una “signora”, così l’ha sempre chiamata lei, che l’ha allevata , educata e preparata alla vita.

Nata verso la fine del 1800, il suo percorso di crescita fu chiaramente orientato verso un destino di sposa e madre di famiglia che con il matrimonio verso i vent’anni e i quattro figli, ha onorato con pazienza e dedizione. Mandava avanti la casa piuttosto bene, ma le piaceva soprattutto lavorare all’uncinetto e cucinare. Di lei ricordo alcune preparazioni speciali come la minestra di pesce, la “francesina”, le melanzane marinate. Quest’ultime sono rimaste indelebili nei miei ricordi e le ho incluse fra “i miei piatti forti”.

Ho la fortuna di avere un orto piuttosto grande che mio marito, ormai in pensione, coltiva con piacere alternando i lavori agricoli con le attività di ricerca scientifica di cui ancora si occupa. Verso la fine di luglio si comincia a raccogliere e a cucinare le melanzane: tonde o lunghe sono adatte tutte, più morbide le prime più saporite le seconde.

La ricetta

INGREDIENTI

  • melanzane
  • aglio
  • peperoncino piccante
  • farina
  • olio per friggere
  • aceto
  • sale

PROCEDIMENTO

Tagliare le melanzane in fette non troppo sottili e disporle a strati in uno scolapasta dopo averle cosparse di sale fino per far perdere l’eccesso di acqua ed il sapore amarognolo. Dopo due ore circa si stendono e si asciugano bene fra due strati di carta da cucina.

Cottura: una volta asciutte le melanzane vengono poche alla volta infarinate e fritte in olio di semi. E’ bene usare una friggitrice elettrica per tenere la temperatura costante ed una gratella per scolarle bene dall’olio in eccesso. Per una preparazione più “leggera” le melanzane possono essere cotte sulla griglia.

Marinatura: quando sono ancora tiepide le melanzane vengono condite a strati con pezzettini di aglio e di peperoncino piccante ed una generosa spruzzata di aceto. Al termine un piatto con un peso sull’ultimo strato favorisce l’amalgama dei sapori che migliora nel tempo e quindi si consiglia di servirle dopo qualche ora dalla preparazione. Nella ricetta originale della nonna al termine della frittura, all’olio di oliva rimasto si aggiungeva l‘aceto, i pezzetti di aglio e peperoncino e dopo aver scaldato e mescolato bene, il tutto veniva versato sopra le melanzane.

Quando le preparo per la famiglia al completo di figli e nipoti, non rimangono mai avanzi vuoi perché molto gradite a tutti quanti, vuoi perché se per caso ne ho fatte tante e qualcosa resta, è d’obbligo riempire un piattino di carta da portar via!

I tortelli di Bruscoli di nonna Clotilde

Bruscoli è una frazione del comune di Firenzuola di 229 abitanti, è situata in Toscana, al confine con l’Emilia Romagna, in provincia di Firenze. In passato faceva parte della contea degli Alberti di Vernio e Mangona, citati da Dante nel canto XXXII dell’Inferno, ai vv. 55-56. Nel 1340 Bruscoli, assieme a Baragazza e altre frazioni, venne ceduta alla signoria bolognese dei Pepoli per l’aiuto prestato da Taddeo Pepoli nella cacciata degli Ubaldini e dei Frescobaldi.

Luciana non è originaria di Bruscoli, essendo di Montale, ma ha sposato un Pasqui, Ledo, originario del borgo mugellano, dove il nonno aveva una grande ed efficiente mulino all’entrata del paese, sul torrente. Così Luciana ha poi passato gran parte della sua vita nel luogo, acquisendone tradizioni, cucina, cultura.

La nonna Clotilde, mamma di Ledo, preparava i tortelli mugellani, con le patate, alla sua maniera, usando i prodotti tipici del luogo e Luciana ne tramanda la tradizione culinaria.

Grazie a lei anche oggi si possono gustare questi manufatti di Bruscoli gustosi e particolari.

Sarà poi compito della sua discendenza, l’amata nipote Ginevra, a continuare e tramandare la preziosa e genuina pietanza.

 

La ricetta

Lessare le patate del Mugello. Nel frattempo preparare la sfoglia.

Per un kg di farina almeno 8 uova, di galline allevate all’aperto. Salare, un goccio di olio, un poco di acqua e amalgamare le uova alla farina, impastando, una ad una fino ad ottenere una pasta liscia e omogenea. Lasciar riposare la pasta, coperta, per 20 minuti.

Dopo venti minuti lavorare la pasta a mano o con la macchina fino ad ottenere delle strisce, non troppo fini né troppo grosse. Quando le patate sono cotte passarle allo schiacciapatate. Aggiungere sale, un uovo, noce moscata olio, parmigiano e qualche cucchiaio di passata di pomodoro per avere un ripieno rosato.

Preparare i tortelli: mettere impasto, sigillare e tagliare a quadrati.

Preparare il sugo di carne e salsiccia: mettere nella pentola un soffritto di verdure miste (carota, sedano, cipolla) e lasciarlo rosolare nell’olio di oliva. Versare poi la carne macinata con la salsiccia, salare, pepare, e sfumare con il vino rosso. Aggiungere il pomodoro, un poco di conserva di pomodoro, un poco di acqua. Far cuocere per circa 40/50 minuti a pentola coperta.

Quando è il sugo è pronto procedere con la cottura dei tortelli.

Lessare i tortelli in abbondante acqua salata, un poco per volta, e condirli con il sugo di carne e salsiccia.

A piacere spolverizzare il piatto con del parmigiano grattugiato.

 

Torta al limone

La torta al limone per me è molto importante poiché è stato il mio primo approccio volontario alla cucina. Non ho mai trovato interessante questo ambito, infatti, ho sempre avuto tanti problemi fisici accentuati da una cattiva alimentazione.
 Non si tratta di una ricetta complicata e non richiede tanto tempo anzi, è una “ricetta da tutti i giorni”, tradizionale a tal punto da poterla modificare tenendo fede alle dosi della ricetta.

La ricetta

INGREDIENTI (per 8 persone)

  • 2 uova
  • 150 g di zucchero bianco
  • 200 g di farina 00
  • 1 bustina di lievito per dolci tipo Paneangeli (originale: mezza bustina 8 g)
  • 1 buccia di limone grattugiata
  • 100 ml di latte
  • 100 ml di olio di semi di girasole (va bene anche di arachide)
  • 50 ml di succo fresco di limone

La cosa veramente importante è seguire l’ordine del procedimento di realizzazione. Se per sbaglio invertiamo un passaggio, la nostra soffice torta al limone, sarà immangiabile.

PROCEDIMENTO

Monta le uova con lo zucchero e la buccia grattugiata del limone, fino a che non otterrai, una massa gonfia e spumosa.
 Aggiungi l’olio, il latte e poi il succo di limone.
Infine, aggiungere farina e lievito setacciandoli a mano e amalgama bene.

Imburrare e infarinare una teglia rotonda (circa 20-22 cm), preriscaldare il forno a 180° non ventilato e infornare la torta per 30 minuti.
 Quando la torta è pronta, farla raffreddare e cospargerla di zucchero a velo.

 

Per abbellirla, possiamo disegnare delle forme e “imprimerle” con lo zucchero.