La ribollita: trionfo di verdure

La ribollita è un piatto che richiama non tanto la mia infanzia, poiché a Pistoia si è soliti fare la zuppa col pane ammollato, ma non “ricotto”, quanto, invece, un aspetto importante della “contaminazione” positiva ricevuta da mia suocera, contadina proveniente dal Mugello, che preparava un’ottima ribollita, talvolta aggiungendo anche la cotenna di maiale che ho volutamente omesso nella ricetta per rendere questo piatto gustoso ma meno ipercalorico. Ho invece lasciato il prosciutto, poiché rende il piatto più saporito ma con meno necessità di aggiunta di sale.

La ribollita si può accompagnare con spicchi di cipolla rossa cruda (meglio se di Tropea)… chi vuole ne può gustare l’alchimia… e… buon appetito!

La ricetta

INGREDIENTI (per 6 persone):

  • 300 g. fagioli borlotti secchi
  • 300 g. fagioli cannellini secchi
  • 3 zucchini
  • 1 manciata di fagiolini
  • 2 mazzetti di bietola
  • 1 mazzetto di cavolo nero
  • 1 cavolo verza piccolo
  • 2 gambi di sedano
  • 4 carote medie
  • 4 patate
  • 3 pomodori maturi
  • 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
  • 1 cipolla
  • 1 rametto di pepolino (timo)
  • 1 rametto di rosmarino
  • 1 spicchio d’aglio
  • 3 cucchiai di Olio Extra Vergine di Oliva
  • 1 fetta abbastanza spessa di prosciutto crudo
  • sale e pepe q.b.
  • 300 g. di pane toscano cotto a legna raffermo

PROCEDIMENTO

Mettere l’olio Extravergine di Oliva in un tegame molto capace e far rosolare il prosciutto tagliato a cubetti con la cipolla finché questa non si sarà imbiondita e con l’aglio, il pepolino e il rosmarino.

Unire il pomodoro tagliato a pezzetti e il concentrato.

Aggiungere un po’ di broda dei fagioli preventivamente bolliti, unitamente ai fagioli passati al setaccio (lasciarne da parte qualcuno intero, sia cannellino che borlotto, da aggiungere quasi a fine cottura)

Mettere tutte le verdure spezzettate e ben lavate, partendo da quelle che necessitano di maggior cottura (cavolo, fagiolini, sedano, bietola, carote, patate e, infine, le zucchine).

Aggiungete 4-5 ramaioli di acqua fredda, salate, pepare e fate bollire a fuoco lento per almeno 2 ore. A fine cottura trasferite una buona parte della broda di verdure in una grossa padella.

Incorporate il pane raffermo, tagliato a cubetti (lasciate da parte un po’ di verdura a fine cottura o per diluire il pane se si addensa troppo) e fate cuocere finché il pane si sarà completamente amalgamato alle verdure.

Servire ben calda e aggiungere olio Extravergine di Oliva a crudo, con una macinata di pepe fresco.

Il pane pasquale di Isia

Isia era originaria della zona dell’Orsigna, nell’Appennino Tosco Emiliano, poi, conosciuto Ruggero, si era sposata ed era andata ad abitare a Campo Tizzoro, villaggio costruito dagli Orlando per gli operai della loro grande industria metallurgica S.M.I.
Donna forte, eppure semplice, massaia dai grembiuli a fiorellini, era molto elegante e curata quando usciva; ornava i cappotti con spille dorate e colli di pelliccia che davano al suo bel viso un’aria da gran signora, aveva tra le mura domestiche un carattere ‘pepato’, ma sapeva anche ridere e sorridere ed era una chioccia i nipoti. La ricordo, oltre che con un immenso affetto, sempre con il mestolo in mano. O lo roteava nella nostra direzione a causa delle marachelle compiute o lo girava nei pentoloni sul focolare…

Nei giorni precedenti la Pasqua iniziava la grande lavorazione dei pani pasquali che dopo la benedizione in chiesa avrebbero costituito la base del pranzo del dì di festa.

Venivano ad aiutarla la sorella Elda, i figli Roveno e Silvano, la figlia Silvana, le nuore Elisabetta e Ietta, tutti quelli a disposizione, insomma. Noi bimbetti si assisteva con il naso sul tavolo e gli occhi spalancati verso la grande spianatoia.

Il profumo che si sprigionava dal forno a legna era meraviglioso: era come l’abbraccio della mia grande nonna.

Ricetta

INGREDIENTI (a occhio…)

  • ½ chilogrammo di farina 0
  • 1 ettogrammo di burro e 1 ettogrammo di zucchero
  • un pizzico di sale
  • uvetta a piacere
  • un goccio di cognac o sambuca
  • 2 uova intere
  • 1 bustina di lievito da dolci, o da pane, o lievito di birra
  • anacini a occhio
  • un poco di buccia di limone grattugiata

PROCEDIMENTO

Prendiamo la farina e mettiamola a fontana sulla spianatoia, aggiungiamo la buccia del limone grattugiata, lo zucchero, gli anacini, le uova, il burro sciolto a bagnomaria, il lievito sciolto nel latte, un goccio di cognac e impastiamo.

Poi aggiungiamo l’uvetta precedentemente ammollata. Si lavora bene bene fino a d avere un bel pane. Lo lasciamo lievitare venti minuti sulla spianatoia e intanto accendiamo il forno. I più fortunati useranno un forno a legna.

 

Prendiamo un foglio di carta gialla e lo ungiamo con l’olio di oliva. Ci mettiamo sopra il pane lievitato e mettiamo in forno a 180 gradi per 40 minuti.

 

 

 

 

 

 

 

Pesce spada al piatto

Questa ricetta per me ha il sapore nostalgico della famiglia d’origine, della Sicilia. Mi ricorda quando, da bambina, mia mamma mi portava al mercato del pesce perché… «Il pesce spada va comprato freschissimo» diceva, e voleva le tagliassero la fetta davanti a lei, dal pesce intero, con la testa e la spada perché… «Se il pescivendolo è birbante ti rifila una fetta di pescecane!»

Durante la cottura si sprigionava il tipico odore buono e profumato di pesce, lo riconoscevo subito quando tornando da scuola entravo in casa e lei mi sorrideva dicendomi che aveva fatto il pesce al piatto, quello che fa venire la “voglia di vivere” al solo pensiero di mangiarselo.

La ricetta

INGREDIENTI

  • una fetta di pesce spada fresco
  • pomodori datterini
  • uno spicchio di aglio
  • prezzemolo
  • olio e sale

PROCEDIMENTO

Procuratevi un tegame largo e basso e un vassoio tondo che sia sufficientemente grande da coprire il tegame, perché dovrete cuocere al vapore, e un coperchio adeguato a coprire il pesce nel vassoio.

Per prima cosa riempite di acqua il tegame e portate a ebollizione, nel frattempo lavate il pesce e mettetelo nel vassoio, sistemate attorno i pomodorini tagliati a metà per la lunghezza e l’aglio tagliato in quattro parti. Aggiungete prezzemolo, olio e sale.

 

Appena l’acqua bolle mettete il vassoio sul tegame e coprite con il coperchio. La cottura richiede circa un’ora (dipende dallo spessore della fetta di pesce spada). Di tanto in tanto aggiungete acqua nel tegame.

A cottura ultimata avrete un piatto sano e nutriente con il suo contorno.

Volendo, si accompagna bene anche con patate lesse.

 

Le braciole in salsa della zia Maria Grazia

Il borgo di Cecina di Larciano, posto su un colle a poco più di centotrenta metri di altezza, nell’area del Montalbano, è un paese di antiche origini che nell’età medioevale ebbe un ruolo considerevole in quanto castello posto a guardia dei confini meridionali del territorio comunale pistoiese, insieme a Larciano e Lamporecchio e collegato ad ovest con Serravalle, punto strategico fondamentale. Maria Grazia andava spesso a Cecina di Larciano a trovare la cognata Grazia, moglie del fratello Giorgio, e oltre alle lunghe passeggiate nei colli, alle confidenze sulle vicende familiari, sulle persone che conoscevano, si facevano compagnia cucinando e passandosi le ricette di famiglia.

La cognata amava in particolar modo le braciole al sugo di Maria Grazia, che non poteva tornare nella sua Pistoia se non dopo aver cucinato e diffuso o il profumo della sua ricetta per tutto il borgo di Cecina!

La ricetta

INGREDIENTI

  • 4 braciole di vitello
  • 2 uova
  • pangrattato
  • sale
  • salsa di pomodoro
  • olio di oliva
  • prezzemolo
  • una cipolla rossa
  • 2 acciughe sfilettate

 

PROCEDIMENTO

Sbattere le uova e aggiungere un pizzico di sale. Passare le braciole nell’uovo e dopo nel pane grattugiato. Mettere dell’olio di oliva nella padella e quando è caldo aggiunge le braciole impanate.

 

A parte preparate tegame con prezzemolo e cipolla rossa tagliata sottile e si fa soffriggere piano. Appena il soffritto prende il colore si aggiunge la passata di pomodoro.

 

Si fa cuocere per circa 10 minuti. Dopo si aggiungono due acciughe deliscate e infine si aggiungono le braciole, scolate dall’olio di cottura, e si fanno andare per cinque minuti nella salsa.

 

E buon appetito!

 

Chipa di casa mia

Ogni anno ricevo dalla mia famiglia un pacco pieno di calore. È un pacco che apro tenendo gli occhi chiusi, perché so già che contiene il profumo del mio Paese, della tradizione in cui sono cresciuta e che mi è tanto cara. Infatti, quel pacco mi porta molto di più che un cibo tipico – le chipas – lui racconta la nostra storia che si svolge in un particolare periodo dell’anno, quando insieme ci troviamo per prepararlo.

La chipa è infatti un pane preparato dall’intera famiglia durante la Settimana Santa, una tradizione molto sentita: il mercoledì ci ritroviamo insieme, grandi e piccini, e ciascuno fa la sua parte per impastare, dare forma e poi infornare le chipas nel tatakua (il tipico forno in terracotta) da cui usciranno le fragranti pagnotte che la famiglia consumerà fino alla domenica di Pasqua. È anche usanza del venerdì, giorno del digiuno, mangiare solo le chipas inzuppate in un infuso preparato con le foglie essiccate del mate, una pianta molto diffusa dalle nostre parti.

Ecco perché il pacco con le chipas che arrivano dalla mia famiglia mi è tanto caro, mi porta coi ricordi insieme a loro, in quella settimana santa e speciale per la tradizione.

La ricetta

INGREDIENTI – per circa 15-20 chipas (dipende dalla forma che diamo)

  • 1 kg farina di mais
  • 1 kg farina di manioca
  • 6 uova
  • anice (qb, a gusto personale)
  • un cucchiaino scarso di sale
  • 250 gr di burro
  • latte (quantità via via necessaria per dare all’impasto una consistenza morbida, tipo quella della pizza)

PROCEDIMENTO

Mettere le due farine in un recipiente piuttosto grande, insieme a sale e anice: usiamo per l’anice un piccolo trucco, lo strusciamo un po’ fra le mani prima di aggiungerlo alle farine, così si scalda quel tanto che basta per farlo essere più profumato.

Sbattere le uova con il burro, in modo da formare una sorta di crema che aggiungeremo alle farine, poi iniziamo a mescolare: a questo punto iniziamo a incorporare il latte, poco alla volta, fin quando la pasta prende una consistenza morbida (come indicato sopra).

Dalla pasta così ottenuta si prendono dei pezzetti, e si dà loro l’aspetto che preferiamo: pagnotte semplici oppure forme come cerchi, animaletti, trecce, fiori… a fantasia. I bambini saranno i più felici di questo bel gioco!

A tavola con… Le Fornaci

È stato un pubblico molto interessato quello che ha preso parte al secondo degli appuntamenti in calendario per il progetto “A tavola per prevenire, per guarire, per integrare”, che si è tenuto il 1° di ottobre al Circolo ARCI Le Fornaci di Pistoia. Soddisfazione è stata espressa sia da Lisa Sequi, responsabile dell’ambulatorio nutrizionale di Voglia di Vivere, sia da Marta Porta, che il progetto lo ha ideato e messo in atto.

Si sono avute anche alcune adesioni al concorso di cucina, che sembra proprio piacere molto (c’è ancora tempo per iscriversi, scaricando il regolamento da qui).

 

Ricordiamo che i prossimi incontri si terranno, sempre alle 17,30 a:

  • 15 ottobre, Circolo ARCI Santomato
  • 29 ottobre, Circolo ARCI Margine Coperta

 

Messaggi in… codici

Articolo realizzato a cura dall’ambulatorio nutrizionale di Voglia di Vivere

Attenzione a come parlate… qualche losco soggetto potrebbe ascoltarci quindi… parliamo in codice! No, anzi, in codici, ovvero i preziosi strumenti che permettono ai consumatori di tutelare la propria salute con scelte sane e consapevoli. Secondo la normativa nazionale si definisce etichettatura “L’insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su una etichetta appostavi o sul dispositivo di chiusura o su cartelli, anelli o fascette legati al prodotto medesimo o, in conformità a quanto stabilito dalla legge, sui documenti di accompagnamento del prodotto alimentare”.

Il D.L. n 109 del 1992 è la normativa base che recepisce le direttive CEE 89/395 e 89/396, e alla quale sono state applicate diverse modifiche negli anni, le più importanti contenute nel Regolamento 1169/2011. Qualunque alimento destinato al consumatore finale o alle collettività è accompagnato da informazioni conformi al suddetto regolamento. Il campo di applicazione delle norme è legato a tre concetti di prodotto alimentare destinato al consumatore finale definiti nel D.L. n 109 del 1992:

  • prodotto preconfezionato: “l’unità di vendita destinata ad essere presentata come tale al consumatore ed alle collettività, costituita da un prodotto alimentare e dall’imballaggio in cui è stato immesso prima di essere posto in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o alterata”.
  • prodotto preincartato: “l’unità di vendita costituita da un prodotto alimentare e dall’involucro nel quale è stato posto o avvolto negli esercizi di vendita”.
  • prodotto sfuso: prodotti alimentari non avvolti da alcun involucro, nonché quelli di grossa pezzatura anche se posti in involucro protettivo, generalmente venduti previo frazionamento.

Per quanto concerne l’etichettatura, i prodotti preincartati sono considerati al pari dei prodotti sfusi. Questi prodotti devono quindi essere dotati di un apposito cartello applicato ai recipienti che li contengono, sul quale devono essere esplicitati la denominazione di vendita, l’elenco degli ingredienti e le modalità di conservazione per i prodotti facilmente deperibili.

I prodotti preconfezionati, invece, devono obbligatoriamente riportare in etichetta le seguenti informazioni:

  1. la denominazione dell’alimento
  2. l’elenco degli ingredienti
  3. qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’allegato II del Reg. 1169/2011 o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata
  4. la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti
  5. la quantità netta del prodotto
  6. il termine minimo di conservazione o la data di scadenza
  7. le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego
  8. il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare
  9. il paese d’origine o il luogo di provenienza
  10. le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento
  11. per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo
  12. la dichiarazione nutrizionale.

Quest’ultima informazione si riferisce alle calorie fornite in kcal e in kJ, e al contenuto di carboidrati, proteine, grassi, fibra e sale espresso in g su 100 grammi di prodotto.

Eventuali informazioni aggiuntive possono riguardare marchi come DOP, IGP e STG, certificazioni in grado di assicurarne la qualità al cliente.

La leggibilità dell’etichetta rientra tra i diritti del consumatore. Questa costituisce un elemento importante per la corretta ricezione e interpretazione delle informazioni, sulla base delle quali poter effettuare una scelta consapevole. Le informazioni illeggibili sul prodotto sono una delle cause principali dell’insoddisfazione dei consumatori nei confronti delle etichette alimentari. Pertanto, tutte le informazioni devono essere stampate con caratteri leggibili, indelebili e facilmente comprensibili in modo tale che non risultino ingannevoli o fuorvianti.

D’altro canto, al momento dell’acquisto il consumatore ha il dovere di leggere attentamente l’etichetta in quanto essa costituisce la fonte più immediata ed essenziale di informazioni relative all’alimento che andrà a consumare.

NEL DETTAGLIO ALCUNI CODICI SPECIFICI

 

Piccoli, immensi aiuti

Articolo realizzato a cura dall’ambulatorio nutrizionale di Voglia di Vivere

Il consumo regolare di frutta e verdura è altamente consigliato per il loro valore nutritivo. Infatti, oltre all’importante apporto di fibra, sono le principali fonti di sostanze antiossidanti e di sali minerali.

Ma cosa si intende per sostanze antiossidanti? Questo termine comprende tutte quelle sostanze che contrastano o rallentano l’attività dei radicali liberi che si formano dai processi di ossidazione. Questi sono processi che avvengono naturalmente e continuamente all’interno del nostro organismo e sono alla base del processo di produzione di energia a partire dagli alimenti che consumiamo. I radicali liberi che si formano sono quindi dei prodotti di scarto di tali reazioni e sono molecole contenenti ossigeno altamente reattive che, se presenti in elevate quantità, possono costituire un rischio per la salute. Il ruolo degli antiossidanti è quello di captare queste molecole reattive e “immolarsi” ossidandosi al posto di altre molecole per limitare possibili danni.

Gli antiossidanti sono tantissimi e di diversa natura: antociani, fenoli, beta carotene, vitamine E e C e molti altri ancora. Queste molecole sono però tanto benefiche quanto instabili: tendono infatti a degradarsi nel tempo soprattutto se esposte a temperature elevate (fatta eccezione per la vitamina E). La gestione e la cottura degli alimenti risulta quindi essere decisiva nel mantenimento del loro potenziale antiossidante.

Il consumo di frutta e ortaggi crudi, preferibilmente freschi, permette una corretta assunzione di sostanze antiossidanti. In alternativa, le cotture da prediligere sono quelle che permettono un’esposizione al calore per il minor tempo possibile. La cottura a vapore e in pentola a pressione rappresentano dunque la scelta migliore sia per i brevi tempi di cottura, sia per il limitato contatto con l’acqua e quindi il limitato passaggio delle sostanze nell’acqua di cottura.

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Truccati a dovere

Articolo realizzato a cura dell’ambulatorio nutrizionale di Voglia di Vivere

Sin dall’antichità l’uomo ha sfruttato le pratiche di conservazione come l’affumicatura, l’essiccazione e l’aggiunta di olio o spezie per il mantenimento degli alimenti. Con la crescita dell’industria alimentare, oltre a mantenere queste pratiche, è notevolmente incrementata l’aggiunta di sostanze chimiche ai prodotti, sia per ottenere prodotti standardizzati su larga scala, sia per aumentarne la sicurezza d’uso e renderli più gradevoli.

Volendone dare una definizione più corretta, secondo la legislazione italiana, gli additivi alimentari sono quelle sostanze che, aggiunte intenzionalmente agli alimenti durante una qualsiasi fase di lavorazione, permettono l’ottenimento del prodotto finale. In generale ne favoriscono un prolungamento della shelf-life (letteralmente: vita di scaffale), ovvero ne posticipano la data di scadenza permettendo anche la conservazione del valore nutrizionale, oltre a stabilizzarne e/o migliorarne le proprietà organolettiche (come il sapore, l’odore, il colore e la consistenza).

Di seguito indichiamo le principali classi d’uso:

  • conservanti, tra i quali ritroviamo antimicrobici, acidi organici e antiossidanti
  • inibenti le alterazioni di natura fisica come i gelificanti, gli addensanti, i chiarificanti e gli emulsionanti
  • agenti lievitanti di cui fanno parte per lo più lieviti chimici
  • coloranti sintetici e naturali
  • aromatizzanti naturali e di sintesi (questa classe ha una regolamentazione a sé)
  • edulcoranti ulteriormente classificabili in base al loro potere dolcificante e alle calorie fornite.

Al fine di controllare l’utilizzo degli additivi e di garantirne la sicurezza d’uso per la salute dei consumatori, è stato istituito un ente europeo con sede a Parma. L’EFSA, acronimo di European Food Safety Authority, è tuttora l’autorità di riferimento per la regolamentazione di additivi, per la sicurezza alimentare e per la valutazione degli effetti benefici degli alimenti (i cosiddetti claim salutistici). L’EFSA ha infatti stilato una lista di additivi considerati sicuri e sottoposti a una serie di controlli periodici e definisce inoltre le dosi massime consentite per ciascun composto e l’utilizzo nei diversi alimenti. Il testo di riferimento per gli additivi in Europa è il Regolamento 1333/2008 (e le modifiche a esso applicate negli anni).

Sulla base delle informazioni e dei dati della letteratura scientifica riconosciuta a livello internazionale, l’EFSA definisce la dose massima consigliata di ogni additivo, chiamata appunto DGA (Dose Giornaliera Accettabile) o ADI in inglese. La DGA corrisponde quindi alla dose massima giornaliera di una sostanza consumabile da un individuo affinché questa non comporti un rischio per la salute ed è espressa in mg su kg di peso corporeo.

Sempre secondo il Regolamento del 2008, gli additivi sono considerati dei veri e propri ingredienti dell’alimento in quanto li si ritrovano nel prodotto che consumiamo, e la loro esplicitazione in etichetta è quindi obbligatoria. Si possono ritrovare nella lista degli ingredienti come codici numerici preceduti dalla lettera “E” seguiti dalla loro funzione riportata tra due parentesi.

Il fatto che siano altamente controllati e testati, e il loro uso regolamentato, ci induce a pensare che gli additivi siano tutti composti sintetici. In realtà, nell’ampia classe degli additivi sono comprese anche sostanze naturali e relativamente innocue. E’ il caso dell’acido ascorbico, più comunemente detto vitamina C che ritroviamo sotto la dicitura E300, oppure l’E330 ovvero l’acido citrico, un acido organico contenuto negli agrumi. Altri esempi sono le lecitine contenute nella soia, la cellulosa e un’intera categoria di coloranti di cui fanno parte la curcumina E100, il caramello E150 e la clorofilla E140.

Esistono invece delle categorie di additivi che sono potenzialmente rischiose per la salute per cui infatti è espressa una DGA minore e il loro consumo andrebbe dunque limitato il più possibile. Alcuni esempi sono il glutammato di sodio e in generale gli esaltatori di sapidità (E600-E640), la classe dei nitriti e nitrati, alcuni dolcificanti come l’aspartame e i coloranti artificiali quali il rosso E127, il blu E131 e il giallo E110.

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Scelte consapevoli

Articolo realizzato a cura dall’ambulatorio nutrizionale di Voglia di Vivere

I processi di produzione di generi alimentari consistono in più fasi durante le quali, a partire dalle materie prime vengono ottenuti i prodotti alimentari industriali che ritroviamo nei supermercati. Durante la loro produzione, oltre all’aggiunta di eventuali additivi, possono essere utilizzati i cosiddetti coadiuvanti tecnologici che, come indica il nome, hanno lo scopo di favorire l’ottenimento del prodotto desiderato. Tra i coadiuvanti più utilizzati troviamo:

  • i solventi, comunemente impiegati per l’estrazione di sostanze (usati nelle spezie, aromi, grassi e oli vegetali)
  • i chiarificanti per succhi e bevande
  • gli agenti di distacco come siliconi e vasellina (utilizzati spesso in pasticceria)
  • i detergenti e i disinfettanti impiegati per la pulizia dei macchinari e per alcune materie prime
  • gli enzimi e i catalizzatori di reazioni chimiche.

L’utilizzo di queste sostanze di natura chimica, però, può non essere esplicitato in etichetta poiché per legge la loro citazione non è obbligatoria. Questi composti, infatti, una volta ottenuto il prodotto, sono allontanati per non alterare le sue caratteristiche fisiche e organolettiche e, questione più importante, perché la loro presenza costituisce un pericolo per la salute del consumatore.
Tuttavia, è possibile che tracce di coadiuvanti possano essere presenti nel prodotto finito e sono monitorate dall’azienda produttrice tramite controlli analitici affinché risultino al di sotto di limiti stabiliti.

Per ridurre il rischio legato all’accumulo di questi composti nel nostro organismo in seguito al consumo ricorrente di certi prodotti, conviene adottare alcune accortezze che ci permettono di limitare la possibile assunzione di queste sostanze.

In primis una dieta variegata e il consumo di alimenti freschi ci permette di ridurre l’assunzione di prodotti industriali che sappiamo essere per definizione altamente processati.

In alternativa, la scelta di prodotti industriali di qualità risulta anch’essa una delle strategie vincenti, in quanto le marche che puntano al mantenimento di un’immagine commerciale prestigiosa si avvalgono di materie prime qualitativamente controllate (compresi additivi e coadiuvanti) e sono solitamente soggette ad un elevato numero di test analitici che garantiscono un prodotto sicuro per la salute dei consumatori.

Anche l’alternanza del consumo di prodotti altamente controllati con altri può costituire un approccio corretto al problema, in quanto il consumo di prodotti di marche diverse permette comunque la riduzione dell’assunzione e dell’accumulo di coadiuvanti potenzialmente nocivi.

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