Mi fido di me?

“Tutti abbiamo dentro un’insospettata riserva di forza che emerge quando la vita ci mette alla prova”

I. Allende

Il necessario adattamento che la vita chiama a mettere in campo ogni giorno, di fronte all’incontro con una patologia oncologica, subisce un inevitabile “scossone”. Alla persona protagonista di questo, possono essere richieste capacità che, magari, fin a quel momento non pensa di possedere.
Il carico emotivo, l’incertezza, la sofferenza fisica ed emotiva dovute anche al percorso di cura, comportano un elevato distress ed una necessaria ricerca di un nuovo equilibrio.

Il concetto di “patient empowerment”, coniato e sviluppatosi negli Stati Uniti a partire dal 1970, sta a significare il coinvolgimento del paziente nelle scelte che riguardano la propria salute. Ad oggi, molto lavoro c’è ancora da fare per la sua quotidiana traduzione nella prassi clinica, ma certamente questo concetto più generale può essere realmente efficace se la persona sente di poter essere lei stessa efficace, di avere un ruolo attivo nella sua vita.
Un compito, quindi, che i clinici hanno è quello di creare e condividere dei percorsi che supportino i pazienti a sviluppare il senso di autoefficacia, laddove è carente, e rafforzarlo.

L’autoefficacia (Bandura, 1997) può essere definita come “l’insieme delle convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati”, in altre parole, la fiducia che la persona ha delle proprie capacità e di come queste possano condurre agli effetti desiderati. Non è un sinonimo di una generica fiducia in se stessi, ma prevede una profonda convinzione di poter affrontare in maniera efficace le sfide, di essere all’altezza delle situazioni.

“L’autoefficacia, non è dunque una misura delle competenze possedute, ma la credenza che la persona ha in ciò che è in grado di fare in diverse situazioni con le capacità che possiede”

L. Borgogni

Il senso di autoefficacia risente delle esperienze, delle relazioni che la persona ha nel suo “bagaglio” di vita, ma è importante considerare che queste possono essere integrate con possibilità altre che nascono dai nuovi incontri che la persona fa nel corso della sua esistenza.
La rete familiare, sociale, il team curante possono essere fonte di una sensazione nuova di maggiore sicurezza ed efficacia. Comunicare, condividere le scelte terapeutiche, mettere la persona al centro del proprio percorso di cura è vitale. Essere ascoltati, avere una comunicazione diretta con i curanti e con i propri familiari riduce i livelli di ansia, preoccupazione e stress legati alla malattia. Un buon grado di informazione, una sufficiente fiducia nelle proprie capacità e la sensazione di poter mantenere un senso di controllo sulle conseguenze del proprio comportamento sono alcuni degli elementi importanti per affrontare al meglio le difficoltà. È indubbio che, di fronte a patologie croniche od oncologiche non è solo questo costrutto che ne determina l’andamento ma è sicuramente un fattore fondamentale. Porsi obiettivi graduali e commisurati alle effettive possibilità è un buon modo per aumentare il
proprio senso di autoefficacia.
Le persone con un buon livello di autoefficacia sono più inclini ad adottare strategie più funzionali al mantenimento di un buono stato di salute calibrate sulle peculiarità del momento specifico che si trovano a vivere.

Ed io? Ho fiducia nelle mie capacità?

Come ho vissuto le difficoltà che ho incontrato nella mia vita?

Ho “scoperto” qualcosa che non sapevo di me?