Socialmente

Parlare e agire in ambito di sanità sociale – perché di questo ha trattato il progetto “A domicilio: sostegno e socialità” – permette di meglio comprendere le nuove forme di solidarietà che si vanno definendo.

È un nuovo che avanza in risposta, anche, alle indicazioni che vengono dalle fondazioni bancarie – che insieme agli enti filantropici sono oggi il principale sostegno a colmare le disuguaglianze fra cittadini – che indicano la via della sinergia fra cittadini quale espressione di risposta più possibile efficace per trovare soluzioni in grado di dare risposta adeguate.

Questa è la chiave di lettura che più di ogni altra valorizza l’impegno che ha portato Annastaccatolisa, Voglia di Vivere e la sezione pistoiese di AIL-Associazione Italiana Leucemie, Linfomi e Mieloma a unire le forze in un “puzzle virtuoso” finalizzato a offrire sostegno a domicilio per le persone più fragili.

Fragilità che riguardano sia le possibilità di accesso ai servizi sanitari, sia le piccole cose che quotidianamente possono necessitare, quelle tanto banali da non meritare la nostra attenzione se non… quando non siamo più in grado di svolgerle autonomamente.

Le tre associazioni pistoiesi hanno risposto al bando Socialmente, promosso dalla Fondazione Caript, che richiedeva appunto la sinergia fra più figure del volontariato: sviluppato in due progetti successivi – “A domicilio: sostegno e socialità” e “A domicilio: supporto, condivido, partecipo” – il risultato è stato un lavoro di assistenza intenso e capillare, supportato da referenti istituzionali divenuti naturale punto di contatto fra i bisogni dei cittadini e l’organizzazione generata dalle associazioni, così da dare soluzione efficace alle domande di aiuto.

Nel progetto, rivolto ai pazienti oncologici, le associazioni sono state operative sul territorio grazie alla collaborazione della Confraternita della Misericordia di Gello-Pistoia per la piana, della Pubblica Assistenza di Maresca per l’area della montagna pistoiese, della Società di Soccorso Pubblico Montecatini Terme per la Valdinievole.

Andando oltre i numeri – sempre importanti, che contano un totale di circa 450 interventi nei 22 mesi di progetto – il risultato secondo noi più significativo è l’aver saputo offrire un conforto concreto a chi ne aveva necessità, organizzandolo attraverso strategie di cooperazione fra l’associazionismo e le strutture sanitarie con cui ci siamo rapportate, oncologia del San Jacopo in primis, essendo – come detto – i pazienti oncologici destinatari del progetto.

La “Zoom Fatigue”

Le continue videocall possono risultare stancanti e/o invasive al punto che ricercatori hanno iniziato a parlare di Zoom Fatigue

Durante le videocall il nostro cervello si trova a dover integrare due informazioni contrastanti: sono solo in questa stanza eppure ho informazioni che Altri ci sono. Innaturale. Questo è uno dei fattori che contribuiscono alla cosiddetta Zoom Fatigue.

 

Negli ultimi tempi la tecnologia ci ha confortato di gran lunga permettendoci di mantenere un legame con chi non potevamo più abbracciare: la scuola, le riunioni, le cene con gli amici,…si sono trasferiti sui canali online. Ricercare e pubblicare nuovi post, fare o guardare video divertenti oppure aggiornarci e formarci attraverso webinar sono state le attività in cui siamo stati impegnati di gran lunga in questi mesi.
Il tempo che abbiamo passato connessi è aumentato esponenzialmente che sia stato per svago, per studio, per fuga o per lavoro! E forse, come non mai, ora siamo però vittime degli effetti collaterali di internet!

 

Numerose ricerche già da tempo parlavano degli effetti negativi dovuti ad un’attività prolungata di fronte a schermi che comportano un aumento significativo di percezione di infelicità, di solitudine, di depressione così come effetti calo dell’attenzione, della memoria, disturbi del sonno. Lo smartphone, ormai alla portata di tutti, è diventato il migliore amico, ciò da cui è impossibile separarsi o staccarsi per lungo tempo. E’ diventato un oggetto che condivide tutto con noi, sta al nostro fianco e, addirittura, gli affidiamo anche la nostra memoria!

 

E mai, come ora, i ricercatori parlano di “Zoom Fatigue”. Come anticipato prima il cervello si trova a dover integrare due informazioni contrastanti. Così com’è innaturale essere deprivati di tutta una serie di comunicazioni non verbali che in presenza avvengono in modo automatico e che ora possiamo solo provare a ricostruire (faticosamente). Con tutta la difficoltà che comporta cogliere le espressioni sottili del viso che, visto la qualità della connessione, spesso si bloccano, si quadrettano o si offuscano.

L’attenzione alle parole deve rimanere altissima e altissimo è il rischio di “perdere” l’altro o di essere interrotti.
Lo sguardo è continuo, sebbene disallineato (chi mai guarda solo l’obiettivo e non lo schermo?), perché guardare lo schermo sembra essere il modo con cui comunichiamo silenziosamente la nostra attenzione a chi sta parlando e il viso dell’altro appare a una distanza (reale) dai nostri occhi che mai terremo dal vivo (troppo vicini).

 

La nostra attenzione, poi, già messa a dura prova dall’attrazione del guardare gli scorci delle abitazioni di ogni partecipante, si trova spesso nella tentazione di osservare e controllare la nostra stessa immagine nel riquadro anziché rimanere in quel flusso comunicativo, nel ballo del dialogo sintonizzato.

 

Le emozioni sono più faticose da lasciar emergere.
Ecco, avessimo avuto bisogno di capire quanto la comunicazione tecnologicamemte mediata possa incidere sulla nostra mente e sul nostro corpo, ora non possiamo non notarlo.
Eppure siamo qui e l’alternativa è non poter comunicare (o lavorare) o farlo a distanza con la mascherina. Niente di così attraente.

Per non soffrire di questa alterazione di piano comunicativo, visto che nel nostro DNA è inciso i nostro bisogno di contatto, oggi che è possibile uscire, riduciamo al minimo gli incontri virtuali per riscoprire la bellezza della vicinanza (con rispetto delle distanze) e di uno sguardo senza schermi!

Claudia Bonari

Il lato amaro della dolcezza

Articolo realizzato a cura dall’ambulatorio nutrizionale di Voglia di Vivere

Gli zuccheri semplici sono presenti da sempre nella dieta dell’uomo: dagli zuccheri della frutta in tempi primitivi ai dolci sfiziosi che venivano presentati sulle tavole reali. Ma cos’è che li rende così gradevoli e amati da tutti? Ogni individuo -chi più chi meno- possiede un’innata propensione per il dolce. Questa risale in parte a stati emotivi derivanti dal sapore del latte materno, ma soprattutto da un’istintiva preferenza dei neonati nei confronti dei sapori zuccherini e quindi energetici, fondamentali per la crescita e la sopravvivenza. I fabbisogni dei neonati sono però diversi da quelli degli adulti: infatti, secondo le Linee guida per una sana alimentazione del 2018, il consumo di zuccheri semplici non dovrebbe superare il 15% del fabbisogno energetico giornaliero. Per mantenersi al di sotto di questa quota occorre seguire una dieta equilibrata limitando dolci, bevande edulcorate e snack ad alto contenuto di zuccheri.
Il sapore dolce degli alimenti è dato dall’utilizzo di dolcificanti che possono essere naturali o artificiali.

Gli zuccheri naturali sono quelli che si ritrovano in natura, come il glucosio, il fruttosio nella frutta e il galattosio nel latte, ma anche lo xilitolo e il sorbitolo. Queste sostanze hanno un apporto calorico elevato e incidono sull’innalzamento della glicemia e sull’accumulo di trigliceridi, fatta eccezione per la Stevia, una pianta di origini sudamericane dalla quale si ottiene un dolcificante acalorico. Un’altra valida opzione consiste nell’utilizzo di miele: nonostante sia costituito per lo più da fruttosio e saccarosio, presenta difatti un indice glicemico leggermente inferiore al glucosio, oltre ad essere una fonte di vitamine e minerali.
L’aspartame, la saccarina e il ciclammato sono invece esempi di edulcoranti sintetici. I dolcificanti artificiali sono stati pensati principalmente per sopperire alle mancanze dei dolcificanti naturali: si tratta infatti di sostanze con elevato potere dolcificante, il che li rende efficaci anche a piccole dosi riducendo così l’apporto calorico (quasi pari a zero) e l’effetto sulla glicemia. L’utilizzo di queste sostanze è dunque consigliato a persone diabetiche o a chiunque debba tenere sotto controllo i livelli di glucosio nel sangue. Anche questa classe di dolcificanti ha però delle controindicazioni: studi scientifici hanno infatti dimostrato la tossicità e la cancerogenicità di alcune di queste sostanze, motivo per cui il loro utilizzo è consigliato sempre in dosi minime.
Come abbiamo detto, entrambe le classi di dolcificanti hanno pro e contro: i dolcificanti artificiali sono utili in caso di diabete ma vanno comunque consumati a piccole dosi perché potrebbero comportare un rischio diretto per la salute. D’altra parte, anche il consumo di dolcificanti naturali, se non moderato, può portare a elevati valori di glicemia e aumento di peso, nonostante siano sostanze prive degli effetti collaterali a lungo termine tipici degli edulcoranti artificiali.
In conclusione, si può dire che quando si parla di dolci, non vale la regola melius est abundare quam deficere!

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Dadi: gettiamoli!

Articolo realizzato a cura dall’ambulatorio nutrizionale di Voglia di Vivere

Il dado da cucina, o dado da brodo, è un concentrato di carne e di verdure largamente utilizzato in cucina per dare sapore ai piatti. Questo prodotto assai conosciuto è stato lanciato sul mercato a partire dal dopoguerra con l’arrivo di una nuova cultura domestica. L’idea era quella di un prodotto in grado di “aiutare” in cucina alla stregua di un elettrodomestico, accorciando i tempi di preparazione dei piatti e garantendo così maggior tempo libero al consumatore. Il prodotto era stato pensato per un pubblico femminile, in quanto regnava ancora l’immagine de “l’angelo del focolare” ma allo stesso tempo voleva essere un’innovazione in grado di rompere le catene che legavano la donna in cucina, permettendole appunto maggior tempo da impiegare altrove.
Nonostante i suoi intenti “nobili”, il dado da cucina classico non può essere considerato un prodotto salutare. La lista degli ingredienti presenta ai primi posti il sale e il glutammato monosodico (o altri esaltatori di sapidità). Sono presenti inoltre grassi idrogenati, aromi, concentrati di verdure ed estratti di carne. Questi ultimi possono contenere anche parti dell’animale non comunemente consumate, come ad esempio gli zoccoli.
In seguito alle diverse critiche mosse al dado proprio per la sua composizione, sono state messe sul mercato diverse varianti con una lista di ingredienti leggermente migliorata. Che si tratti di prodotti a ridotto contenuto di sale, senza glutammato o senza grassi idrogenati, resta comunque il fatto che questo prodotto nasce come esaltatore di sapore, quindi per definizione non potrà mai essere salutare ed è pertanto sempre consigliato un consumo moderato.
Il fatto che il dado, grazie al sale e agli esaltatori di sapidità, permetta di ottenere piatti dal sapore più marcato potrebbe indurci a pensare che non utilizzandolo le nostre pietanze possano risultare sciape ed insapori. In realtà diminuendo (o perlomeno limitando) questi due ingredienti è possibile riscoprire un mondo di sapori che, in presenza di sale o di glutammato, risulterebbero troppo tenui per poter essere percepiti.
Se invece non si riesce a fare a meno dei sapori forti, una buona alternativa potrebbe essere rappresentata dall’utilizzo di erbe aromatiche e altre spezie che oltre a conferire sapore alla vivanda non comportano rischi per la salute di chi la consuma, ma, al contrario, ad alcune spezie sono state riconosciute proprietà benefiche.
Infine, è sempre bene ricordare che oltre al consumo di alimenti sani, anche le modalità e il tempo impiegato per prepararli hanno una loro influenza sulla costruzione di un sano rapporto con il cibo e l’alimentazione. Prendersi del tempo per preparare un piatto sano e appetitoso, oltre a gustarlo, porta a grande gratificazione da parte dei commensali e soprattutto ad una grande soddisfazione personale.

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Donne in rete

Quello di cui parliamo è un documento frutto di un grande lavoro di collaborazione interassociativo, pensato per rafforzare il messaggio di adesione allo screening mammografico da parte delle donne italiane. Si tratta di un appello alle istituzioni nazionali e regionali affinché riprendano al più presto, con le modalità opportune di protezione dal Covid-19, lo screening mammografico che in quanto Livello Essenziale di Assistenza (LEA) dovrebbe essere garantito in tutte le regioni italiane, nella fascia di età 50-69 anni (in alcune regioni anche 45-74).

In alcune regioni – per esempio in Toscana – lo screening mammografico è ripreso, pertanto è chiaramente possibile riprenderlo senza rischi per le donne, ma contribuiamo tutte a sostenere il messaggio, vediamolo come un’occasione per rafforzare la nostra rete, per far capire che quando le associazioni vogliono, sanno fare rete, sempre nel solco della nostra comune filosofia associativa e nell’ottica della coesione partecipativa.

Per la sensibilizzazione a livello istituzionale, nazionale e regionale, Europa Donna Italia – associazione della quale Voglia di Vivere è membro attivo da fine anni Novanta – sta lavorando a fianco della altre reti associative, nella certezza di avere tutte voi al nostro fianco. Scarica qui Appello per lo Screening di Europa Donna Italia

 

“L’essenziale è invisibile agli occhi”

scriveva Antoine de Saint-Exupéry. È invisibile, ma c’è.

Ed è essenziale, non possiamo farne a meno.

L’isolamento dovuto al Coronavirus ed il distanziamento che ancora caratterizza le nostre relazioni sociali, ci hanno offerto una prova tangibile di quanto queste siano cruciali per il nostro esistere. Per la vita quotidiana ordinaria e per le scelte straordinarie. Quando le relazioni interpersonali vengono meno ne avvertiamo profondamente la mancanza e siamo disorientati, spaesati. In particolare, tra le relazioni sociali, i legami affidabili e cooperativi manifestano la loro solidità e la loro capacità di tenuta anche di fronte al cambiamento repentino delle nostre giornate. Rappresentano un supporto determinante per vivere e, se possibile, per vivere al meglio.

 

La situazione complicata che ciascuno ha vissuto e per cui è stato messo alla prova, sia individualmente sia come membro di varie comunità, può farci riflettere sulla “forza” dei legami sociali. Anche quelli apparentemente “deboli” e non visti. Ma proprio queste relazioni ci consentono – se agite – di dare il meglio di noi, di trovare risorse, talvolta inaspettate. Di fronteggiare le situazioni di criticità, di superare le difficoltà anche attraverso scelte inedite, di riscoprirci più prossimi agli altri.

 

Abbiamo imparato a sentirci più vicini attraverso uno schermo, un telefono ad accorciare le distanze non potendo avere un contatto diretto. Ma l’impulso a stringere legami con gli altri per il piacere di stare con loro è sempre presente e un segno del nostro essere più profondo.

 

Abbiamo bisogno di relazioni di qualità ovvero quelle relazioni i cui effetti sono positivi per noi. Così come abbiamo bisogno di nutrienti, ossigeno e riposo per l’organismo, così abbiamo bisogno di relazioni per soddisfare un bisogno fondamentale per ognuno di noi.

Claudia Bonari

Alessandra Chirimischi

È professionalmente cresciuta alle redazioni dei mensili JP4 Aeronautica e Panorama Difesa, dove ha iniziato a lavorare alla segreteria di redazione, ma è con Pesca in Mare che ha spiccato il volo nel giornalismo, ricoprendo vari ruoli fino a trovarsi responsabile della redazione, realizzando così il sogno di diventare giornalista, coltivato fin da bambina.

Dall’inizio del nuovo millennio ha rispolverato la passione per l’antropologia, non solo per valorizzare la laurea in Scienze politiche – a indirizzo sociologico – ma per appagare la necessità di iniziare una nuova avventura. Nel 2005 inizia il progetto della rivista trimestrale “N&A Psicologia dell’emergenza”, che firma poi come direttore responsabile fino al numero del settembre 2007. Poi… arriva il cancro: fino al giugno 2012 è un succedersi di interventi e terapie, che la portano a dover rivedere tutta la sua vita, personale e professionale.

Il percorso iniziato con l’antropologia si consolida nella medicina narrativa in cui riunisce l’esperienza professionale nel giornalismo e nelle scienze umane con l’esperienza personale di paziente: un mix di conoscenze che la favorisce nell’intuire e re-interpretare le umane aspirazioni, in un dialogo costruttivo fra persone. Di conseguenza è molto attenta al proprio aggiornamento professionale, che cura con meticolosità dando sempre maggiore spazio alla formazione sulla salute.

Le informazioni principali:

  • iscritta all’Ordine dei Giornalisti albo pubblicisti dal 2005, segue regolarmente i corsi previsti per l’aggiornamento professionale
  • dal gennaio 2022 è iscritta al Registro Formatori Professionisti AIF, dove segue il programma di aggiornamento previsto per i formatori
  • a partire dal periodo universitario, al suo attivo conta corsi di approfondimento sulla comunicazione
  • nel 2020 ha seguito e completato il corso di alta formazione “Management del Terzo settore. Advocacy e strumenti gestionali per chi opera in ambito salute” organizzato da Europa Donna Italia con l’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (ALTEMS) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Lavora come copywriter e collabora con il quotidiano La Nazione, dove in cronaca di Pistoia cura una rubrica settimanale dedicata al terzo settore, e con la rivista online StampToscana.it

Con Voglia di Vivere collabora occupandosi di comunicazione ed eventi, e gestendo il laboratorio letterario Atelier della parola.

 

Volontari&

Una associazione come Voglia di Vivere, convoglia su di sé molte figure, prevalentemente femminili, che per comodità possiamo individuare in tre categorie:

  • ci sono le “pazienti in corso”, ovvero donne che stanno seguendo percorsi di cura finalizzati a togliersi dai piedi – anzi dal seno! – il cancro;
  • poi la categoria delle donne che hanno pazientemente attinto alla forza di volontà, superando la fase precedente: sono le volontarie, che avendo provato sulla propria pelle cosa significa aver a che fare con il cancro, donano alle pazienti in corso il proprio tempo e l’esperienza del loro vissuto;
  • infine la terza categoria, le professioniste, operativa per supportare le altre con le proprie competenze.

A proposito di quest’ultima, qualche parola in più va spesa, rappresentando in associazione un mondo numericamente piccolo, ma tanto variegato quanto consistente.

Con l’eccezione del Dott. Mauro Quattrocchi Voglia di Vivere vanta un nutrito gruppo di donne preparate in discipline specifiche, ciascuna delle quali con riconosciuti livelli di attitudine professionale. Questo perché l’associazione ha sempre preteso di offrire servizi che fossero qualitativamente impeccabili, e per garantirli si avvale di collaboratori le cui credenziali siano concretamente valide.

Un dato di fatto, oggettivamente dimostrabile, cui va reso merito al gruppo dirigente l’associazione nella scelta di collaboratrici e collaboratori all’altezza dei compiti che sarebbero stati loro affidati. Non da meno, è stata considerata essenziale la capacità di ciascuna nel cooperare con le altre armonicamente.

Discorso che, a maggior ragione, vale con la riforma del terzo settore, in funzione della quale le associazioni di volontariato dovranno gestirsi con criteri che vanno ben oltre il semplice donare la disponibilità del proprio tempo, quando si può. La riforma investe le competenze dei volontari, e di qualunque altra figura sia chiamata ad affiancare i volontari e il Consiglio nelle attività associative, portando competenze il cui apprendimento richiede percorsi dedicati e di non immediata acquisizione.

Si tratta quindi di armonizzare ruoli e conoscenze: cosa non facile da realizzare, ma siccome l’armonia è uno degli ingredienti essenziali al raggiungimento del ben-essere, Voglia di Vivere lo sa, ed è in questa direzione che si impegna a lavorare.

Questo l’elenco delle collaboratrici attualmente attive (clicca sul nome per saperne di più)

 

Progettare e…RIPARTIRE!

Questo periodo di incertezze può mettere a dura prova il nostro benessere emotivo. Tuttavia possiamo approfittare di queste circostanze per riflettere su ciò che vorremmo cambiare nella nostra vita e per programmare il modo in cui vorremmo prenderla in mano quando l’emergenza finirà.

Ma in che modo possiamo non lasciarci avvolgere dalla paura del cambiamento e trovare le risorse per rinascere?

Che cosa resterà nella nostra mente di questo periodo che stiamo vivendo?

Quali saranno gli “anticorpi” che aiuteranno a difenderci dalla paura, dall’ansia e da quei pensieri che per un po’ di tempo nonostante la fine delle restrizioni dell’emergenza, potranno far capolino?

Potremmo scoprire di aver sviluppato una resilienza di cui saremmo noi stupiti per primi.
All’inizio di questa emergenza abbiamo fatto i conti con la nostra fragilità, con l’impotenza di fronte ad un qualcosa di molto più grande di noi e di poco controllabile. Dapprima quello che era considerato “altro” o “altrove” si è rivelato più vicino di quello che si poteva pensare.

Il senso del limite ha dato un nuovo significato agli spazi, al tempo, alla vicinanza con le altre persone.
Il bisogno di pensare a futuro, di immaginarsi la “luce in fondo al tunnel” è una risorsa che, in momenti come questi, può dare quella sensazione di libertà negata sul piano pratico.
In questo periodo, abbiamo necessariamente fatto un allenamento di pazienza e umiltà. Abbiamo però anche messo alla prova la nostra capacità di resistere ed adattarci alle situazioni avverse.
Si sono potuti riscoprire valori come la solidarietà: relazioni dimenticate o sottovalutate sono state riscoperte. L’individualismo ha avuto un valido antagonista nel senso di comunità che si è fatto più forte, più concreto, più sentito.

Se, da un lato, il Coronavirus ha aumentato le distanze, dall’altro ci ha avvicinati, resi più disponibili alla reciprocità, alla condivisione.

Claudia Bonari

Zoom e… insieme!

Anche i più refrattari nell’uso della tecnologia, in queste giornate da Covid-19 hanno deposto le armi davanti alle meraviglie dell’informatica, che hanno permesso di accorciare le distanze: solo virtualmente, s’intende, ma l’effetto ottenuto ha portato i suoi benefici. Videochiamate dai telefonini e, ancor più, piattaforme per videoconferenze dove trovarsi e scambiare qualche parola con le persone care, ha dato conforto.

Voglia di Vivere non si è sottratta al richiamo di questo nuovo modo di socializzare, organizzando ieri – martedì 14 aprile – un incontro fra amiche: avvalendosi della piattaforma Zoom (una fra le più semplici per videoconferenze e meeting) alcune delle Signore che più assiduamente frequentano l’Associazione si sono ritrovate per una simpatica chiacchierata. Il merito di questa iniziativa va a Beatrice De Biasi, una delle psicologhe attive a Voglia di Vivere, che molto soddisfatta del risultato ha commentato: “Sono stati minuti di incontro piacevoli, alla fine dei quali ci siamo sentite tutte più rilassate e molto vicine fra noi”.

Il ghiaccio è stato rotto, perciò… prendete nota che martedì 28 aprile alle 17,30 si replica: chiamate pure per essere pronte ad “assembrarvi” con noi.

Vuoi saperne di più?

Chiama Beatrice 333 2521 284, oppure clicca qui