Via… col vento?

No, non “con” il vento ma “del” vento: questa volta Rossella e Rhett non sono di scena. Piuttosto, può aver qualcosa a che vedere la nostra amica Gianna (Manzini) che in via del Vento a Pistoia c’è vissuta, molto tempo fa. In questa occasione, infatti, parliamo di Via del Vento sotto forma di “cultura”, termine che al pari di ogni altro comunemente percepito come altisonante incute un certo timore, erroneamente considerato come riservato a pochi eletti. In realtà il suo significato ha respiro ben più ampio.

Tanto per capirci meglio citiamo l’enciclopedia Treccani, che definisce la cultura «L’insieme delle cognizioni intellettuali che, acquisite attraverso lo studio, la lettura, l’esperienza, l’influenza dell’ambiente e rielaborate in modo soggettivo e autonomo diventano elemento costitutivo della personalità, contribuendo ad arricchire lo spirito, a sviluppare o migliorare le facoltà individuali, specialmente la capacità di giudizio» (clicca qui se vuoi consultare la voce completa).

Da sempre Voglia di Vivere si impegna a far sì che la “cultura” – intesa proprio ad ampio respiro – sia parte di noi, perché contribuisce ad arricchirci e, di conseguenza, a offrirci più e migliori occasioni di benessere. Lo andiamo ripetendo a parole, ma soprattutto con i fatti concreti, per mezzo delle attività della nostra associazione, che ai servizi più propriamente sanitari affianca un ricco ventaglio di attività ludico-formative, l’ultima delle quali è stata il laboratorio letterario (ma mica penserete che ci fermeremo qui, vero?).

Lo citiamo perché è il più adatto, in questa circostanza, a ringraziare Fabrizio Zollo – titolare della casa editrice Edizioni Via del Vento – che generosamente (la quantità di scatole nella foto lo racconta bene!) ci ha regalato una bella serie dei suoi libri, pubblicazioni di riconosciuto valore culturale, per farne dono alle amiche di Voglia di Vivere.

Il bello della bicicletta

Delle tante declinazioni in cui la famosa locuzione Cogito ergo sum è stata coniugata, troviamo particolarmente azzeccata quella che Marc Augé usa nel suo libro “Il bello della bicicletta”: pedalo quindi sono. Nel libro, Augé compie una analisi del rapporto fra individuo e bicicletta, andando ben oltre l’idea di stampo “salutista” alla quale siamo abituati associare pedalate e benessere. Infatti, tutti siamo consapevoli che usare questo mezzo faccia bene a noi e all’ambiente, ma non sempre consideriamo che l’andare in bicicletta è anche molto di più: quello cui Augè guarda, con gli occhi dell’antropologo, attribuendo a questo mezzo funzioni di rilevante impatto sociale.

Intanto, con la bici non si inganna, con lei siamo messi corpo a corpo con noi stessi in una prova di esaltante solitudine, di esperienza intima e individuale. Al tempo stesso è però occasione di socializzazione, reinventando legami cui gli esseri viventi sono naturalmente propensi, stimolando la gioia di vivere.

Stuzzica la fantasia trova spazi progettuali, di cui Augé porta esempi di esperienze vissute, a Parigi ma anche in altre città italiane, come alcuni capoluoghi Emiliani.

Non tralascia riflessioni su come una città potrebbe essere concepita per darle una dimensione meglio vivibile, pronta ad accogliere le due ruote per farle diventare fulcro di rinnovata armonia fra persone e organizzazione sociale. Abbiamo bisogno di percepire il mondo con naturalezza, e la bici è il mezzo principe per recuperare il senso della città e l’esperienza di libertà, troppo spesso soffocati.

Per introdurre tutti questi concetti, l’autore parte da lontano, ripercorrendo le tappe (è proprio il caso di dirlo!) del ciclismo e della cultura popolare che costruirono sulla bici un vero e proprio mito. Un libro davvero piacevole.

Alessandra Chirimischi

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A bottega dal Maestro di Cazzeggio

Si fa presto a dire “cazzeggio”, ma mica penserete di poterlo fare così, senza alcun criterio o logica: un cazzeggio degno di esser tale – quello serio – va fatto con tutti i crismi, che diamine! Perciò, come ogni altra attività che si rispetti, richiede adeguato periodo di apprendistato, pur riconoscendo che taluni siano naturalmente predisposti a farlo mentre altri no: in ogni caso, l’arte va sempre affinata per renderla protesa a divenir perfetta…

Come avrete notato – se ci frequentate abitualmente – il modo in cui ci esprimiamo è inconsueto rispetto al solito, ma dopo aver letto il libro “A bottega dal Maestro di Cazzeggio” e aver fatto tesoro dei suoi insegnamenti, non potevamo esimerci dal giocare un po’ con le parole! Avete già capito che questo libro ci è piaciuto molto, vero? E ci è piaciuto non solo perché, in quanto libro, rappresenta di per sé un viatico a star bene, ma anche per la piacevole ironia con la quale è scritto, che diventa il naturale viatico alla via del cazzeggio fatto come… gli dei, nessuno escluso, comandano! E se l’umore è buono, è cosa nota, stiamo proprio meglio.

A istruire sul grande gioco del cazzeggio è Massimo Tallone, personaggio che conosce così bene le parole da poter giocare con loro, fornendo simpaticamente ai neofiti le nozioni iniziatiche, e perfezionando i più esperti verso la sublimazione dello stare piacevolmente insieme agli altri. Il libro è strutturato in 32 lezioni, con le istruzioni basilari: come fare per ottenere i risultati migliori (a cominciare dalla scelta di vino più adatto ad accompagnare ogni occasione), ma anche come “sgamare” un cazzeggiatore fasullo che, manchevole dei requisiti necessari a partecipare al gioco, rovinerebbe di sicuro l’atmosfera.

È un vero e proprio manuale per sopravvivere con successo nella nostra società malata, è una via di fuga dalle tensioni, e se a suo tempo avete apprezzato il “Manuale delle Giovani Marmotte”, sarete oggi facilitati nell’apprezzare – traendone gli opportuni benefici – le lezioni di Massimo Tallone. Esilarante!

Alessandra Chirimischi

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La versione di Fenoglio

Si fa presto a dire “giallo”… anche se il libro di cui stiamo per parlare risponde pienamente ai criteri letterari che questo genere prevede, ovvero una narrazione su misteriosi delitti e indagini poliziesche, strutturata per creare una suspense tale da tenere il lettore inchiodato al libro, e col fiato sospeso. Il fatto è, però, che definire “giallo” La versione di Fenoglio è un modo riduttivo di presentarlo. Certamente il suo autore, Gianrico Carofiglio, molta ispirazione l’ha trovata nella sua esperienza di magistrato, resta chiaro dalle numerose citazioni della legge, che danno valore all’operato del protagonista, carabiniere ormai vicino alla pensione.

A colpire di più, però, è il costante richiamo a ciò in cui tutti ci troviamo – o dovremmo trovarci – coinvolti: la quotidianità, le cose che abbiamo intorno, ciò che diamo per scontato e che, invece, meriterebbe più attenzione. A fare splendidamente da spalla a Fenoglio è Giulio, un giovane rampollo di buona famiglia: si incontrano durane la fisioterapia, e fra un esercizio e l’altro diventano amici, anzi complici in una ricerca introspettiva che sbalordisce per chiarezza e obiettività, e che mette il lettore nella posizione di porsi molte domande.

Lo fa proponendo insolite chiavi di lettura: per esempio l’investigazione – vale a dire il lavoro che Fenoglio ha svolto per tutta la vita – si presenta per quello che realmente è, una vera e propria arte in cui non c’è spazio per alcun limite, a cominciare dalla superficialità. Ricorda, di conseguenza, che siamo tutti pessimi osservatori, prima di tutto di noi stessi. E, ancora, ricorda che le indagini non son procedure lineari bensì “Il risultato investigativo – ma in realtà più in generale la nostra comprensione delle nostre esperienze – dipende da un procedere per tentativi”: in fondo, aggiungiamo noi, non è esattamente ciò che facciamo quando la nostra vita viene buttata all’aria da un fatto doloroso? Anche questo ci insegna il “giallo”, fa parte della finalità narrativa riportare ordine dove qualcosa ha provocato disordine, a ripristinare le regole: ciascuno ha le sue “Alcune hanno senso, altre meno. Ma tutte insieme servono a farci funzionare, a farci tirare avanti.”

La versione di Fenoglio è un libro che offre molto al lettore, che certamente esce fortificato dalla lettura. È un libro scritto con appropriatezza, con la competenza di chi sa rendere piacevole anche l’argomento più ostico perché lo conosce bene. È un libro che, nonostante lo spessore del contenuto, sa offrirsi con pacatezza, a tratti con leggerezza, quella data da una pennellata “rosa” nelle vicende di un carabiniere gentiluomo.

Alessandra Chirimischi

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La corriera stravagante

Anche lungo la più lineare e scontata delle vie, a un certo punto si arriva a dover decidere dove andare, quale percorso intraprendere perché la strada presenta una svolta che – come ogni cambiamento – ci porta alla soglia dell’inaspettato. Se poi a qualcuno capita di arrivare alla “svolta dei ribelli”, il cambiamento non può che manifestarsi come sorprendente. Assecondando – e solo per questo motivo – lo stile abituale che ha fatto scegliere paesaggi e personaggi californiani come ambientazione dei suoi romanzi, con La corriera stravagante – edito per la prima volta negli Stati Uniti nel 1947 – John Steinbeck lasciò pubblico e critica piuttosto stupiti per essersi posto con un’insolita verve narrativa, carica di tratti ironici e dalla sottile intenzione allegorica, scelti per raccontare le vicende di un gruppo di viaggiatori che, a causa di un guasto alla corriera che li trasporta, si trovano loro malgrado a dover soggiornare proprio alla svolta dei ribelli. Così chiamata perché i primi pionieri che ci arrivarono erano fabbri rozzi e attaccabrighe, dopo che cadde in malora quella che una volta era stata la loro fucina – trasformata nel frattempo in area di sosta con autorimessa e distributore di benzina – nei primi anni Trenta del Novecento fu rilevata dai coniugi Chicoy, grazie ai quali la svolta dei ribelli – perché ormai così continuava a chiamarsi – cambiò totalmente aspetto, diventando una simpatica stazione di servizio, con tanto di ristorante in cui Alice Chicoy stuzzicava gli avventori con le sue prelibatezze. E la svolta divenne anche stazione di cambio per i Levrieri, gli autobus di lusso che lasciavano qui i passeggeri diretti a San Juan de la Cruz, dove arrivavano grazie al servizio autobus che Mr. Chicoy gestiva insieme al garage.

È nella ventata di simpatia portata dai Chicoy alla rinnovata svolta dei ribelli, che si accende il romanzo: la convivenza fra sconosciuti – costretti a una sosta forzata e prolungatasi ben oltre il previsto – innesca la miccia per una variegata esplosione di stati d’animo, per quel gioco allegorico accennato prima in cui l’umanità è espressa in una carambola di atteggiamento inusuali, che lasciano spesso stupiti gli stessi protagonisti. Intrighi, complicità, sotterfugi, litigi… la narrazione ci offre un campionario di personalità come raramente accade di leggere, atteggiamenti inusuali, di gente che per qualche motivo perde il senso del controllo, e che per questo anima vicende che, in diverse condizioni, probabilmente mai sarebbero accadute. Un romanzo divertente, dal quale si percepisce un autore probabilmente divertito nel giocare con i personaggi che qui ha narrato.

Alessandra Chirimischi

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Giardino & orto terapia

L’inverno è probabilmente il periodo dell’anno migliore per leggere “Giardino & orto terapia. Coltivando la terra, si coltiva anche la felicità”: è adesso, infatti che la terra riposa, che prende respiro dopo averci donato abbondanza di frutti, prima di rigenerarsi ai primi tepori della nuova stagione.

Pia Pera è stata molto più che una scrittrice: ci ha dilettato con orti, giardini e tutto ciò che fa “verde” ma andando oltre il solo fatto di coltivare la terra. Come ogni altro suo lavoro (nel circuito REDOP sono disponibili molti dei suoi titoli) “Giardino e orto terapia” è un qualcosa di molto più radicato che una pianta nel terreno: il saggio ci aiuta a capire gli effetti benefici che il coltivare la terra – pur trattandosi anche soltanto di qualche piantina sul davanzale della finestra, se non abbiamo altre possibilità – rappresenti un vero toccasana per la nostra mente. Lo specifica il sottotitolo: coltivando la terra si coltiva anche la felicità.

A definire il benefico legame fra mente e corpo è proprio la nostra necessità di prendere le distanze da ogni stato d’animo che crea difficoltà e tensioni, sentimento che tutti conosciamo, abbiamo vissuto e condividiamo con una certa frequenza, se non proprio quotidianamente. Nel momento in cui percepiamo il nostro malessere, sentiamo anche la necessità di “spostarlo” fuori da noi, in una dimensione diversa proprio per liberarci dal fardello che ci opprime: e quante volte abbiamo detto “Esco a prendere un po’ d’aria” per staccare la spina da uno stato d’animo sgradito? Il contatto con la Natura, il suo silenzio rispettoso di noi e del nostro essere ci aiuta lasciarci andare per ricaricarci di energia. Come spiega Pia Pera nel libro, le piante stesse si prendono cura di noi, restituendoci l’attenzione che dedichiamo loro coltivandole, ma anche soltanto attraverso una passeggiata nel verde siamo in grado di captare il senso di appartenenza a questo stato naturale, tornandone almeno per qualche attimo ad esserne parte, con tutti i benefici che ciò comporta. Stiamo parlando di un libro che ci aiuta a comprendere come la Madre Terra sia sempre pronta, benevolmente, ad accogliere la vita nel suo ventre. Quella Madre della quale siamo parte.

Alessandra Chirimischi

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La dieta mediterranea

Con questo libro l’armonia fra i termini “libro” e “benessere” è particolarmente azzeccata: infatti, non soltanto di attinge dalla lettura quella piacevolezza che porta a uno stato empatico con il protagonista di un libro, ma va ben oltre, toccando il benessere fisico legato a un modo di intendere la vita, nella sua quotidianità.

“La dieta mediterranea. Mito e storia di uno stile di vita”, scritto dall’antropologa Elisabetta Moro, analizza – grazie ai risultati di una ricerca articolata e dettagliata – il significato più profondo della “dieta mediterranea”, riferimento oggi utilizzato spesso impropriamente, e che grazie ai contenuti di questa pubblicazione ci è dato di conoscere in modo corretto.

La tecnica narrativa è molto scorrevole, gradevole anche per i non addetti ai lavori (proprio perché rivolta a un vasto pubblico), che porta a sognare utilizzando le parole come pennellate di colore: chiudi gli occhi per un attimo e… senti le cicale cantare sotto il caldo sole estivo, al naso ti arriva l’odore forte sprigionato delle erbe aromatiche, percepisci lo scorrere di fresche acque ristoratrici. E laggiù lui, il mare, il nostro bellissimo Mediterraneo lampeggiante sotto i bagliori del sole. O della luna.

Questo libro è scienza, per il modo con il quale racconta anni di ricerche rigorose condotte dai coniugi Ancel e Margaret Keys, ma è anche attualità e storia, perché racconta come la loro eredità culturale sia stata da alcuni Paesi del Mediterraneo apprezzata e come, di conseguenza, i loro governi si siano impegnati affinché la dieta mediterranea fosse dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

È poi arricchito con notizie curiose e interviste, riflessioni sul cibo e sul mondo che intorno a questi gira: in realtà si tratta di tanti piccoli mondi, uno per ciascuno dei luoghi e dei modi in cui il cibo è preparato e consumato. In quest’ottica, il libro diventa uno strumento che ci aiuta a capire le nostre origini, facendocele apprezzare e, forse, talvolta guardare per la prima volta sotto il giusto profilo.

Alessandra Chirimischi

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Solo pane

Una storia come tante: lei che lascia il proprio lavoro e la casa natale per entrare nel nuovo ruolo di moglie. Una moglie – nel caso di Wynter Morrison, protagonista del romanzo “Solo pane” di Judi Hendricks – perfetta per il perfetto principe azzurro con il quale è convolata a nozze: impeccabili abiti firmati, indossati con signorile eleganza in occasioni mondane quando incontra gli amici/clienti del marito, inappuntabile padrona di una splendida casa in uno dei quartieri più eleganti della città… insomma, una moglie perfettamente plasmata a ciò che ci si aspetta da lei. Per sette anni vive un matrimonio felice, o apparentemente tale, fin quando si rompe l’incantesimo. E le certezze crollano.

Sull’inizio Wynter fatica non solo ad accettare l’idea che il marito voglia lasciarla, ma addirittura cade in uno stato di profonda depressione nell’attesa che lui torni in sé: un’attesa inutile quanto dolorosa, dalla quale però pian piano inizia a prendere forma la voglia di rimettersi in piedi, una volontà che… lievita insieme alla consapevolezza che la realtà è cambiata, e occorre costruirsi una nuova vita. Acquisisce finalmente il giusto atteggiamento per vincere.

È nel pane che Wynter trova il suo antidoto alla tristezza. O, meglio, lo trova nel fare il pane. Il piacere di impastarlo, di preparare il lievito madre, di imparare i segreti della panetteria: seguendo il profumo del pane torna con la memoria alla gioventù, quando ancora studentessa – durante una vacanza estiva trascorsa nella Francia meridionale – imparò l’arte nella panetteria. Ricordi che si inframmezzano con la ricerca della propria identità e di una nuova vita che pian piano prende forma intorno alla sua personalità, ai suoi desideri fino a sbocciare nella sua pienezza nel momento in cui Wyn riesce ad accettare la realtà per quella che è. Nel momento in cui riesce dalle difficoltà a trovare la via di uscita positiva, per se stessa.

Ha superato il proprio dolore grazie a una forza di volontà che è cresciuta in le delicatamente, come avviene con il pane quando è preparato con amore: il meraviglioso pane il cui profumo è per lei un antidepressivo naturale, la terapia più efficace quando affonda le mani nella farina e la impasta inebriandosi con l’odore del lievito da lei stessa preparato.

Dall’epilogo forse un po’ scontato – il classico lieto fine, come nelle fiabe, che però non vi raccontiamo per non rovinare la lettura – il romanzo è davvero molto gradevole, e pure originale per il ruolo da co-protagonista che viene riservato proprio al pane, con una trama nella quale molte donne si caleranno, sia per simpatia sia per empatia.

Dulcis in fundo, ma non cosa da poco, nel libro ci sono alcune interessanti ricette per preparare il pane, e pure qualche dolce con le ricette di una volta: vuoi vedere che potrà diventare anche il vostro toccasana?

Alessandra Chirimischi

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Se ti abbraccio non aver paura

Non trovate sia meraviglioso scoprire che il nostro mondo è popolato anche da persone fantastiche? Così fantastiche che sembrano appartenere a un altro mondo! O forse siamo noi a non vedere il loro mondo, e le consideriamo strane perché non le comprendiamo?

È con queste domande che entriamo nel mondo di Andrea, il ragazzo autistico protagonista, insieme al padre Franco, del libro “Se ti abbraccio non aver paura”. I due, ormai, sono giustamente famosi e continuano a girare l’Italia accompagnati dalla simpatia che li contraddistingue.

Tutto ebbe inizio quando i due partirono per un viaggio oltreoceano, raccontate in quell’intenso diario di vita che è il libro: “Se ti abbraccio non aver paura” racconta la reazione di un padre dal momento in cui gli viene data una sentenza che cambierà radicalmente la vita di tutta la sua famiglia. Un moto di ribellione che non è negazione della realtà, bensì l’accettazione consapevole di chi si informa, di chi non si dà per vinto e vuole a tutti i costi rispettare la Vita, anche se questa diventa a un certo punto difficile perché “diversa”. La Vita, che è sempre e comunque bella, da vivere con intensità, e Franco decide di condividerne con il figlio un momento speciale, dedicato soltanto a loro: partono alla volta dell’America senza una meta precisa, ma coltivando il bel sogno di incontrarsi nell’intimo della loro anima, una condivisione dalla quale ciascuno possa diventare più forte perché più vicino all’altro.

Franco e Andrea sono due personaggi veramente speciali, e si sono affidati a un brillante scrittore, Fulvio Ervas, per fare della loro esperienza un libro meraviglioso che al successo del pubblico ha aggiunto alcuni riconoscimenti letterari di rilievo.

Forse… la bacchetta magica regalata da Andrea a New Orleans, ha indicato a Franco il percorso giusto per trasformare la loro avventura in magia da donare a tutti coloro che la leggeranno.

Alessandra Chirimischi

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L’ablazione

Breve, intenso da togliere il fiato. Da leggerlo, tutto d’un fiato. Con lo stesso vigore con cui si combatte una battaglia importante, dal cui esito dipende la nostra vita. È in questi termini che ho apprezzato il libro “L’ablazione”, un vero e proprio inno ai sentimenti umani, una sinfonia di emozioni che nascono dal dolore più acuto, quello che scombina l’anima mettendola a nudo, in tutti i suoi limiti: carnali e spirituali.

Il libro racconta una storia realmente accaduta, narrata dal protagonista a Tahar Ben Jelloun, suo amico, ma anche scrittore dalla penna tagliente come un bisturi che porta via la malattia, ma insieme a lei anche parte di un corpo. Il protagonista de “L’ablazione” – un uomo che durante la vita non ha saputo resistere al fascino femminile – è stato mutilato nella sua virilità, ma nel suo essere eunuco le donne continua ad amarle, forse anche di più: “Da quando non scopo più, mi sento più libero e amo sempre di più le donne”.

Con queste parole che inizia il libro: parole crude che ti prendono, ti affascinano, ti conducono in un mondo di desiderio visto con occhi diversi, più concreti. E da lì parte un incalzare di eventi che ripercorrono le tappe più importanti della vita di un uomo che non possiamo che amare per la sua umana debolezza, per la paura che cerca di esorcizzare con ogni mezzo, nella irrefrenabile ricerca della propria fragilità da vincere con la forza della volontà e della ragione.

Ciò che il libro racconta è una semplice storia, ma le emozioni che il protagonista vive sono comuni a quelle di molti altri che, per varie ragioni, si trovano a fare i conti con una mutilazione importante, che lascia segni indelebili nel corpo e nello spirito: ma proprio da quei segni dobbiamo attingere la forza per guardare ad un “io” diverso, che si propone al mondo con la voglia di essere rinnovato, vivendo la vita attimo dopo attimo.

Alessandra Chirimischi

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