La famiglia di fronte alla malattia

Come stiamo? La famiglia di fronte alla malattia

Dati recenti rispetto ai paesi occidentali, fanno emergere un’importante realtà: oltre un quarto dei pazienti oncologici ha figli di minore età al momento della diagnosi.
Quando ad ammalarsi di cancro è un genitore, alla sofferenza fisica e alle difficoltà quotidiane che la malattia comporta si aggiunge la preoccupazione per i figli e per il loro futuro.
Dare comprensione, ascolto e strumenti al genitore ammalato per comunicare con i figli, significa aiutare l’intero sistema a trovare un equilibrio più funzionale ed armonioso per affrontare la fase della vita che sta attraversando.
La tendenza naturale e fisiologica di un genitore è quella di proteggere il proprio figlio, qualsiasi età esso abbia. Ma ci possiamo domandare quale sia la sua declinazione pratica più utile?
Spesso si assiste al fatto che il paziente oncologico tende, almeno in prima battuta, a non voler informare i figli, bambini o adolescenti.
Tale atteggiamento ritenuto protettivo può alimentare, invece, un crescente disagio psicologico spesso con conseguenze a lungo termine. D’altra parte, non esiste un metodo unico ed univoco per comunicare perché come prima cosa è necessario rispettare i tempi di ogni persona. E, per comunicare efficacemente, è necessario che le persone si sentano pronte e sostenute nel farlo. Aiutare le persone in questo processo comunicativo significa favorire il raggiungimento della migliore qualità di vita possibile per i pazienti e le loro famiglie.

Non vi sono tantissimi studi a supporto, ma quello che si può osservare nella clinica è che laddove vi sia un buon livello di comunicazione, il disagio si riduce. E perché questo avviene?
Avere una comunicazione aperta e sincera con i figli in merito alla malattia significa anche essere costretti a riflettere su interrogativi che si preferirebbe tenere nascosti e lontani da sé e quindi dal bisogno di proteggere se stessi da domande difficili alle quali si teme di non saper rispondere.
Quindi si potrebbe, malamente, riassumere dicendo che il silenzio è una forma di protezione verso se stessi ed i propri figli.
Ma è davvero così? È facilmente nascondibile il fatto che si sta affrontando una patologia oncologica?

Il tentativo di “fare come se niente fosse” ed il rifiuto della comunicazione creano una situazione paradossale: in cui tutti sanno, ma nessuno può parlare. La cosiddetta “congiura del silenzio”, a chi è utile? Una comunicazione aperta e sincera da parte dei genitori consente, invece, ai figli di esprimere in maniera altrettanto aperta e sincera i vissuti e le emozioni in relazione ad un evento così traumatico, qualsiasi età abbiano i protagonisti di questo evento.
Quando si ha a che fare con minori molto piccoli, in caso di silenzio o omissioni, questi possono sviluppare sentimenti di solitudine e di perdita, idee di colpa e, quindi, anche, in alcuni casi, rifiuto silenzioso del genitore ammalato. Essi reagiscono ai cambiamenti che avvengono in casa, senza che sia stata data loro una spiegazione tollerabile, con gli strumenti che hanno: la fantasia sostenuta da paura e sensazioni di incertezza portano a generare dei vissuti poco piacevoli.
L’adolescenza, d’altra parte, è un momento critico di per sé della crescita, una fase di cambiamenti sul piano fisico, psicologico e relazionale ed in cui convivono per l’adolescente due esigenze tra loro contrastanti, da un lato il bisogno di essere protetto dalla famiglia e di restare bambino e dall’altro, vorrebbe differenziarsi e acquisire autonomia. Il conflitto è parte integrante di questo periodo, se uno dei due genitori si ammala, c’è il rischio che uno o entrambi questi meccanismi vengano alterati.
È importante, quindi, che passi il messaggio che si è pronti a parlare della malattia ogni volta che i figli ne manifestino il bisogno e che essi non debbono sentirsi soli nel confronto con le loro preoccupazioni.
In tutto questo, è di fondamentale importanza che l’équipe di cura sostenga il paziente ed il suo partner nella comunicazione, intesa come parte fondamentale del processo di cura al pari di tutte le altre e, quindi, come una risorsa capace di migliorare la qualità di vita.

Claudia Bonari

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